Fra i 53.723 detenuti, 809 hanno contratto il virus, 16 sono ricoverati in ospedale. E fra il personale ci sono 1.042 positivi, di cui 10 ricoverati. Cinque i morti della seconda ondata.
«Con il virus che sembra dilagare, chiediamo alla comunità scientifica e a chi di competenza di calcolare l'indice di contagio (Rt) in carcere. E si impongono ulteriori urgenti misure da parte del Governo, che muovano su tre principali linee: deflazionamento sensibile della densità detentiva; rafforzamento e supporto efficace della Polizia penitenziaria; potenziamento incisivo dei servizi sanitari nelle carceri». Queste le richieste della Uilpa Polizia penitenziaria, illistrate dal segretario generale Gennarino De Fazio, legate al balzo in avanti dei contagi da nuovo coronavirus nelle carceri del Paese. E anche se il contagio rallenta, non si ferma.
Situazione «molto preoccupante»
Anche se nel monitoraggio settimanale, aggiornato al 22 novembre, si registra «una leggera flessione dei contagi rispetto agli ultimi due giorni», la situazione rimane «molto preoccupante», spiega De Fazio. E con una aggravante: «Il sistema sanitario penitenziario è legato a stretto giro a quello sanitario regionale. Dunque i tamponi si fanno o non si fanno esattamente come accade fra la popolazione a livello regionale». E c’è una forte carenza di personale. Ritenute irrisorie da Uilpa le assunzioni aggiuntive previste nella manovra di bilancio «se si considera che le 1.935 unità dichiarate saranno diluite su ben cinque anni (solo 200 quelle previste per il 2021) e che nei prossimi tre è previsto l'ampliamento della capienza detentiva per quasi 4.500 posti letto». Uno studio dell’amministrazione penitenziaria condotto da esperti, presentato alle organizzazioni sindacali, attesta che nelle carceri il personale è sottodimensionato di oltre 17mila unità (17.649): in una dotazione di organico ideale servirebbero 54.208 unità, mentre ce ne sono 37.153.
Hanno contratto il virus 809 detenuti e 1.042 operatori
Dai dati ufficiali del ministero della Giustizia aggiornati a domenica 22 novembre fra i 53.723 detenuti, 809 hanno contratto il Covid-19, di cui 14 fra i nuovi giunti. La maggior parte - 766 - sono asintomatici, 27 sono sintomatici gestiti all’interno degli istituti di detenzione, 16 sono ricoverati in ospedale. E fra il personale - 37.153 operatori nella polizia penitenziaria e 4.090 del personale amministrativo e dirigenziale dell’amministrazione penitenziaria - ci sono 1.042 positivi, di cui 10 ricoverati in ospedale. Dunque numeri più alti si registrano fra gli operatori, ma De Fazio ricorda che «bisognerebbe capire se i detenuti hano la stessa possibilità di accesso ai tamponi degli operatori».
Preoccupazione per alcune carceri con alti livelli di contagio
In questa seconda ondata di Covid, secondo i dati in possesso di Antigone, sono stati registrati cinque decessi tra i detenuti, negli istituti penitenziari di Secondigliano, Poggioreale, Alessandria, Saluzzo e Livorno e uno tra i medici penitenziari (Secondigliano). Preoccupazione segnalata da Uilpa per alcuni cluster, da Tolmezzo (118) a Napoli Poggioreale (100), da Napoli Secondigliano (90) a Milano Opera (49).
Servono misure più radicali rispetto alla prima ondata
«La notizia che c’è un positivo in carcere scatena il panico. E anche se alla seconda ondata si è arrivati più attrezzati, con i colloqui dietro gli schermi di plastica o in collegamento video e gli arrestati in singola e quarantena prima di salire in sezione - spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone - la situazione è preoccupante, nonostante fossimo più preparati, più attrezzati e consapevoli. Serve un salto in avanti. Occorrono misure più radicali rispetto alla prima ondata». Scandurra ricorda che le malattie infettive in carcere, dalla tubercolosi alle forme di epatite e oggi al Covid, sono un problema storico degli istituti. «Un carcere che sulla carta non ha problemi di sovraffollamento, se deve trasformare le celle doppie in singole per garantire l’isolamento, deve essere al di sotto della capienza regolamentare», ricorda Scandurra. «Il tasso di sovraffollamento supera oggi il 110%, ma questo è un dato medio. Vanno poi viste le singole realtà, perchè ci sono carceri che superano il 200 per cento. E diventa impossibile rispettare i protocolli di sicurezza e di prevenzione, perchè la persona detenuta non è autonoma e ogni attività essenziale richiede una interazione con altre persone, dall’arrivo del pranzo alla doccia».
Garantire anche non solo i colloqui, ma anche lavoro e formazione
«Bisognerebbe cercare, finchè dura l’emergenza - chiede Scandurra - di garantire una ordinarietà della vita in carcere: che non sono solo i colloqui con i familiari. Il carcere era anche lavoro, formazione, attività culturali. Una parte di queste attività potrebbero essere tenute in piedi tramite le tecnologie di comunicazione a distanza. Ora la preoccupazione principale è quella di garantire il contatto con i familiari, anche per favorire il calo della tensione. Sarebbe importante invece, anche per la finalità rieducativa della pena, che fossero garantite anche le altre attività».
La lettera al governo e ai parlamentari
La seconda ondata di contagi legati al nuovo coronavirus registra numeri ampi, tanto che Antigone, Anpi, Arci, Cgil, Gruppo Abele, hanno inviato una lettera al governo e ai parlamentari delle commissioni Giustizia di Camera e Senato, chiedendo alcuni interventi. A partire dall’estensione dell’affidamento in prova in casi particolari e della detenzione domiciliare senza limiti di pena per chi ha patologie pregresse. Si chiede di fare ricorso alla detenzione domiciliare per quei provvedimenti di esecuzione delle sentenze emesse nei confronti di persone cui il magistrato non ha ritenuto di dover applicare un provvedimento di custodia cautelare in carcere, non considerandole dunque un pericolo per la società. Si vorrebbe che le licenze per i detenuti semiliberi, «che rischiano con più facilità di introdurre il virus in carcere», siano estese «a coloro che lavorano all'esterno dell'istituto». Poi si chiede la possibilità di trascorrere in detenzione domiciliare la parte finale della pena per residui fino a 36 mesi (oggi prevista per residui pena fino a 18 mesi). Questa ultima misura in base ai dati al 30 giugno scorso riguarderebbe 18.850 detenuti per residui pena fino a 36 mesi.
Le misure del decreto ristori
Il decreto Ristori, entrato in vigore il 29 ottobre, oltre ad aiuti, bonus e indennizzi in favore delle attività più colpite dalle chiusure imposte dai dpcm per affrontare i contagi da pandemia, contiene anche alcune disposizioni sul fronte delle carceri. Per esempio la previsione che al condannato ammesso al regime di semilibertà possano essere concesse licenze premio straordinarie con durata superiore a 45 giorni all'anno. Restano ferme la revoca e la sospensione della misura in caso di trasgressione degli obblighi. In ogni caso, la durata delle licenze premio non può estendersi oltre il 31 dicembre 2020. Fra le novità possono essere concessi permessi premio di durata superiore a quindici giorni che, cumulati complessivamente, possono essere anche superiori a quarantacinque giorni per ciascun anno di espiazione. Ai minori possono essere concessi permessi premio oltre i 30 giorni che possono essere complessivamente superiori a 100 giorni nell’arco di ciascun anno di espiazione (si applica fino al 31 dicembre 2020). La disposizione non si applica ai condannati per i cosiddetti reati ostativi, per maltrattamenti contro familiari o conviventi, per atti persecutori o “stalking”, per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico e per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso.