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Nota n°8229 dell'11.04.16  -On. Andrea Orlando Ministro della Giustizia -e,p.c.Sen. Federica Chiavaroli Sottosegretario di Stato Ministero della Giustizia Pres. Santi Consolo Capo del Dipartimento A.P. R O M A
Oggetto: Aggressioni nei confronti della Polizia penitenziaria.
Signor Ministro,
come Ella ricorderà la UILPA Polizia Penitenziaria sin dall’inizio ha condiviso la necessità di innovare il modello di esecuzione delle pene detentive attraverso progetti che da un lato responsabilizzassero le persone detenute, rendendole partecipi di un itinerario di riparazione e rieducazione aderente al dettato dell’art. 27 della Carta Fondamentale dello Stato, e dall’altro emancipassero il lavoro della Polizia penitenziaria dalla mera custodia per elevarlo a quello della conoscenza dell’utenza anche nell’ambito di compiti di vera e propria “intelligence” e polizia di prossimità.
Purtroppo, però, il percorso evolutivo più volte declamato dall’Amministrazione penitenziaria è risultato monco, poco funzionale, auto-riduttivo, persino poco partecipato proprio dalle componenti che, più di altri, avrebbero dovuto esserne artefici.
Così quella che viene spesso spacciata per sorveglianza dinamica altro non è che la “apertura” dei detenuti per un certo numero di ore al giorno (in genere 8) e, talvolta, quella che viene declamata come apertura altro non è che il rinchiudere quegli stessi detenuti in ambienti comuni diversi dalle camere detentive (o ad esse attigui) senza coinvolgerli realmente in concrete attività e pragmatici percorsi rieducativi.
Ciò, unito all’assenza di una qualsiasi politica degli organici che possa dirsi tale ed, anzi, alla schizofrenia della politica che taglia le dotazioni degli Ispettori allo scopo di ampliare quelle degli Agenti di circa 900 unità (cfr. legge n. 117/2014) per poi, a distanza di un anno, apprestarsi a sforbiciare quelle degli Agenti di quasi 4.500 unità (cfr. legge n. 124/2015), sta ingenerando una serie di effetti deleteri per la tenuta del sistema con una preoccupante escalation di episodi di violenza e di aggressioni ai danni della Polizia penitenziaria.
Del resto, la stessa Amministrazione penitenziaria, dal canto suo, nell’esasperazione massima del concetto deteriore di burocrazia, non fa che emanare disposizioni, circolari ed atti di indirizzo che – seppur spesso condivisibili nell’analisi e negli obiettivi – sono destinati a rimanere sulla carta, non rispettati o elusi dalle responsabilità gestionali periferiche senza che ciò determini una qualsiasi azione di coloro che hanno (rectius: avrebbero) il potere/dovere di controllo, indirizzo e intervento.
Molte volte la UILPA Polizia Penitenziaria, in proposito, ha denunciato come e quanto le varie disposizioni, circolari, etc. si rivelino essere non tanto uno strumento per perseguire l’obiettivo, quanto esse stesse il fine.
Così già nei primi mesi del 2016 le aggressioni nei confronti degli operatori continuano ad essere in aumento, con una media (tenendo conto solo del dato ufficiale raccolto dalla sala Situazioni del DAP e molto approssimato per difetto) di 1,3 al giorno (3 agenti aggrediti ogni 2 giorni nel solo mese di marzo 2016).
Emblematici, da ultimo, i ripetuti casi di Prato, Matera, Firenze, Livorno, Sassari, Alessandria, Caltanissetta, Monza, Pisa, Livorno, Vigevano, etc.
Peraltro, guardando proprio ai dati raccolti dalla Sala Situazioni del DAP, sconcerta il numero dei reati commessi da detenuti in carcere se comparato con le sanzioni disciplinari comminate. Con riferimento ai primi due mesi del 2016 i reati commessi ammontano a 355, mentre le sanzioni comminate a solo 315. Se si tiene conto che le sanzioni disciplinari vengono inflitte anche per fatti non costituenti reato, sembra potersi dedurre che spesso condotte penalmente rilevanti non siano considerate ex se sufficienti per la comminazione di sanzioni disciplinari.
Proprio questo, oltre a quelli sopra evidenziati, sembra essere uno dei principali punti di caduta del sistema.
A fronte della mancata adesione sostanziale dei detenuti a percorsi di recupero o anche al solo dovere di mantenere una condotta regolare, l’Amministrazione non pare rispondere con soluzioni e provvedimenti adeguati. Persino il ricorso alle sezioni di cui all’art. 32 R.E. è assolutamente residuale, inefficace e ininfluente.
È del tutto evidente, invece, che un sistema di esecuzione delle pene detentive che si imperni sull’adesione ad un patto di responsabilità da parte dei destinatari debba estrinsecarsi in un impianto di pesi e contrappesi che bilanci ogni apertura conseguente al rispetto di quel patto, con proporzionate ed esemplari chiusure a ogni trasgressione a quello stesso patto.
In altri termini un sistema di “checks and balances” (controllo e bilanciamento reciproco) applicato al modello di esecuzione penale che, proprio in aderenza ai principi costituzionali già richiamati, garantisca l’equità non trattando in maniera analoga, se non del tutto identica, situazioni molto diverse. È il caso, esemplificando, dei detenuti extracomunitari che spesso esprimono esigenze e bisogni diversi dall’utenza autoctona e rispetto ai quali anche la premialità deve basarsi su presupposti e finalità attagliate ai destinatari (si pensi anche alla difficoltà di ricorrere a misure alternative per indisponibilità di un domicilio, etc.) affinché costituisca un valido incentivo all’avvio di un percorso introspettivo autocritico ed, allo stesso modo, l’impossibilità consequenziale di accedere a benefici rappresenti un efficace deterrente a discostarsi da quel cammino.
D’altronde già con nota n. 8186 del 9 febbraio 2016, che si allega opportunamente in copia, questa Organizzazione Sindacale aveva segnalato ai Vertici del DAP la necessità che a fronte del vorticoso aumento degli eventi critici si adottassero misure finalizzate a salvaguardare l’incolumità e, più in generale, dallo stress da lavoro correlato gli operatori della Polizia penitenziaria, anche quale precipuo dovere del datore di lavoro (ancor più pregnante se esso coincide con lo Stato).
Sollecitazione analoga è stata inoltre rivolta dalla UILPA Polizia Penitenziaria al Sottosegretario Sen. Chiavaroli nel corso del recente incontro informale del 31 u.s.
In conclusione, On. Ministro, riteniamo che davanti all’incidenza e alla gravità degli eventi critici, anche con efferata violenza ai danni degli operatori, la politica e l’Amministrazione non possano rimanere inerti per la stessa tenuta del sistema. Con l’attuale trend la situazione complessiva, nella gestione operativa delle carceri, è destinata a degenerare anche compromettendo qualche timido risultato sinora raggiunto e mettendo persino in dubbio la capacità dell’Italia di adempiere alle prescrizioni imposte dall’Europa sul tema (“sorveglianza dinamica” in primis).
La invitiamo, pertanto, pure nelle more di riforme complessive, ad assumere urgentissime e tangibili iniziative che consentano di arginare gli episodi di violenza anche, se del caso, con la promozione di misure che consentano di inasprire l’intervento e la rivalsa dello Stato nei casi in cui siano perpetrati ai danni degli operatori penitenziari.
Nell’attesa di un cortese cenno di riscontro, molti cordiali saluti.F,to Il Segretario Generale Angelo Urso

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