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Huffingtonpost - I numeri dicono che il traffico dei cellulari tra i detenuti, anche in regime di alta sicurezza, è in forte crescita. Gli apparecchi per schermare i penitenziari, acquistati per 140mila euro nel 2018, non sono stati installati per problematiche di diversa natura. Si torna giocoforza ai vecchi metodi: la sorveglianza particolare.

Tecnologia? Disturbatori di frequenze? No, impossibile, grazie. Meglio usare i vecchi metodi, e i vecchi codici, per provare a fermare la diffusione, sempre più capillare, dei cellulari nelle carceri. Meglio, insomma, incentivare la cosiddetta (e molto analogica) sorveglianza particolare. È questa, sintetizzata allo stremo, l’indicazione che arriva dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per far sì che i detenuti non comunichino dai penitenziari.

Il problema riguarda in particolare il regime di alta sicurezza. Quello dove di default sono detenuti i mafiosi, che è appena un gradino sotto il 41 bis. La maxi inchiesta palermitana evidenziato che alcuni detenuti per associazione mafiosa comunicavano, impartendo ordini, dal carcere con dei criptofonini. Ne era seguito un allarme del procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo:  “Quello dell’estrema debolezza del regime di alta sicurezza - aveva detto - è un tema delicato che deve aprire una riflessione profonda”. Una preoccupazione, questa, condivisa anche da chi in carcere lavora. Gennarino De Fazio, segretario generale Uilpa polizia penitenziaria, proprio quel giorno aveva fatto notare come “oggi le prigioni non rieducano, non ostacolano i contatti con le organizzazioni criminali esterne e finisco per essere esse stesse centro di malaffare e di violenza”.

Una riflessione su come fermare le comunicazioni illegali tra detenuti e mondo esterno è in realtà in corso da qualche tempo. E infatti ai primi di febbraio è stata diramata una circolare a firma del direttore generale Ernesto Napolillo che parte da numeri che, secondo il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, “desta enorme preoccupazione”. Se nel 2022, infatti, erano stati trovati 1084 tra telefonini e schede Sim. Nell’anno successivo ne sono stati trovati 1595 e nel 2024 ben 2252. Nel giro di soli due anni - rileva il Dap - si è registrata una variazione del 107,74%. E il problema non è trascurabile, perché a entrare in possesso dei cellulari non sono solo i detenuti comuni, ma quelli condannati per i reati più gravi. Che con il cellulare si possono dare ordini di vario genere.

Come risolvere la questione, allora? Il dipartimento mette le mani avanti: il problema, si legge nella circolare, “non è fronteggiabile, per ragioni tecniche ed economiche, con le schermature degli istituti”. Insomma, i cosiddetti jammer, che dissuadono le frequenze e, isolando le carceri, risolverebbero ogni tipo di problema, sarebbero inutilizzabili. Per una serie di motivi. Perché, innanzitutto, quelli di ultima generazione sono costosi e perché è tecnicamente complicato capire come installarli senza schermare anche le aree circostanti. C’è, poi, il nodo della salute: per evitare che possano essere nocivi bisogna studiare bene i luoghi di installazione e i tempi di esposizione.

Eppure, sono anni che tutti i governi che si susseguono valutano l’utilizzo di questi dissuasori, tanto che a un certo punto sono stati anche comprati. Come ricorda Il Sole 24 Ore, nel 2018 era stato fatto un massiccio discreto acquisto di dispositivi. Era ottobre 2018, i primi tempi del governo gialloverde, quando il Dap aveva disposto l’acquisto di 40 jammer - che poi sono diventati 47 - per un costo totale di 140mila di euro. Questi jammer sono arrivati, sono stati distribuiti sui territori. E poi, per un giro di problemi tecnici e burocratici, mai installati. Ammassati in chissà quali magazzini, ora non si possono più recuperare, perché vetusti. L’avanzare della tecnologia, infatti, non li rende in grado di schermare tutte le comunicazioni. In particolare quelle dei criptofonini e quelle fatte con il 5 G. E allora cosa fare? Se ne potrebbero comprare di nuovi, e il governo ci pensa davvero. Il problema è nel mentre sono diventati molto più costosi. Secondo il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, che ne incentiva l’uso, costano 60mila euro l’uno. Il magistrato suggerisce di usare i fondi del Pnrr. Che, però, hanno un’altra destinazione. Altri bacini dai quali attingere - soprattutto in un momento in cui il governo promette di incrementare di 7mila posti la capienza delle carceri - è difficile trovarli. Ma, soprattutto, le obiezioni che ci si pone sono tecnologiche. 

Per il momento, quindi, l’indicazione - contenuta nella circolare - è quella di ricorrere a una norma degli anni 80. Nello specifico all’articolo 14 bis dell’ordinamento penitenziario, che prevede la sorveglianza particolare. Di cosa si tratta? Di un aumento dei controlli: se un detenuto viene preso con un telefonino, o si sospetta che ce l’abbia, può essere sottoposto a misure più restrittive. Che sono varie: dal trasferimento al sequestro della corrispondenza. La procedura è quasi del tutto amministrativa, perché al magistrato va chiesto solo un parere. E, nei casi particolarmente gravi, può essere chiesto anche quando la decisione è già stata presa. 

Si tratta di un tipo di trattamento a volte efficaci, altre volte no. Sicuramente non troppo al passo con i tempi. All’epoca dell’intelligenza artificiale, dei satelliti, della tecnologia 5.0 ci si arrocca all’analogico perché l’innovazione risulta troppo difficile anche solo da studiare. E questo vale anche per quel tipo di innovazione, come quella portata dai jammer, che garantirebbe più sicurezza senza intaccare diritti. 

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