Lo Stato vuole schermare i telefoni cellulari utilizzati illegalmente dai boss mafiosi (e non solo da loro) in carcere ma la copertura finanziaria per acquistare le nuove apparecchiature è un rebus. Non solo.
Gli inibitori di frequenze – comunemente chiamati jammer – il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) li ha acquistati nel 2018 ma vanno rottamati senza essere mai stati utilizzati un solo giorno. Anche perché con l’introduzione del 5G non sarebbero più al passo con la quinta generazione di telefonia mobile.
La storia merita di essere raccontata dall’inizio, perché si sono già persi oltre sei anni durante i quali Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra in primis si sono avvantaggiati per continuare a governare le attività criminali dall’interno delle celle.
Criptofonini in cella
A poche ore di distanza dall’ennesima operazione antimafia che a Palermo ha svelato il ricorso perfino a criptofonini da parte di uomini di Cosa nostra, la burocrazia italiana riporta a galla una storia che inizia il 17 ottobre 2018, giorno in cui l’allora direttore generale del personale e delle risorse del Dap, Pietro Buffa, firmò il decreto per avviare la procedura di gare per acquistare 40 jammer. Valore dell’appalto 140mila euro più Iva (173.630 euro).
Di lì a pochi mesi – per la precisione il 10 dicembre 2018 – lo stesso Buffa firmerà l’aggiudicazione alla società Selint, unica concorrente, per 77mila euro (sempre più Iva al 22%). Un ribasso del 45% che permise – ma questo si sa oggi – l’acquisto di 47 jammer anziché 40.
Consegna avvenuta
Il 28 maggio 2019 Massimo Parisi, direttore generale subentrato a Buffa, annuncia che l’Ufficio comunicazioni ha ultimato la consegna dei jammer a tutti i provveditorati. Sarebbe seguita la formazione del personale individuato. Tre giorni dopo i principali sindacati della polizia penitenziaria chiesero, è il caso di UilPa, di «conoscere quali saranno le modalità che verranno adottate per individuare/selezionare gli operatori da formare per l’utilizzo dei sistemi (...) Si richiede sin d’ora assicurazione circa l’esperimento di procedure che garantiscano trasparenza e imparzialità e favoriscano “pari opportunità nel lavoro e nello sviluppo professionale” (…)».
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