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La Repubblica 4 luglio 2024 - Dall’inizio dell’anno già 52 detenuti si sono tolti la vita. Il sindacalista De Fazio: “Disorganizzazione imperante”.


Giuseppe Spolzino, 21 anni. Francesco Fiandaca, 38. Ali Soufiane, 19. Giuseppe Santolieri, 74. I nomi di questi uomini non vi diranno nulla, probabilmente. Eppure lo Stato ha contribuito a farli morire: erano sotto la custodia collettiva, in carcere, quando nei giorni scorsi sono morti. Suicidati. Giuseppe, Francesco, Ali, sono soltanto gli ultimi dei 52 suicidi che dall’inizio dell’anno si sono registrati nelle carceri del nostro Paese. Cinquantasei se si aggiungono anche i quattro agenti della Polizia penitenziaria che si sono tolti la vita, vittime anche loro delle nostre galere. Sono più di otto al mese, due ogni settimana, una strage senza precedenti: al primo luglio dello scorso anno (quando i morti suicidi in carcere furono 71), erano 33 le persone che in galera si erano tolte la vita. Stesso numero del 2022, anno nerissimo quando le persone che si ammazzarono dietro le sbarre furono addirittura 85.

Ma che sta succedendo? Come è possibile che le nostre carceri siano diventate «una polveriera senza controllo» come gli stessi agenti penitenziari denunciano ormai da mesi? Non è un caso, «e d’altronde nulla succede per caso nelle carceri», ragiona un vecchio agente della Penitenziaria. Repubblica già ad aprile scorso aveva denunciato come le politiche sull’amministrazione penitenziaria si stavano dimostrando un fallimento. Tre i motivi principali. Il primo, il sovraffollamento: a fronte di poco meno di cinquantamila posti disponibili, ci sono quattordicimila in più, denuncia il segretario della UilPa, il sindacato degli agenti, Gennarino De Fazio.«14.500 detenuti in più rispetto ai posti disponibili, oltre 18mila unità mancanti alla Polizia penitenziaria, gravissime carenze nell’assistenza sanitaria, strutture fatiscenti, disorganizzazione imperante», dice senza cercare scorciatoie. Ma perché le carceri scoppiano? Perché da un lato il Governo ha inasprito pene per i reati di strada e reso più difficile l’accesso ad alcune misure alternative, a partire dall’affidamento in prova ritenuto “il nulla” dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro.

Non sono stati inoltre coperti i buchi in organico dei tribunali di sorveglianza. E dall’altro lato non è stato fatto alcun tipo di investimento nelle infrastrutture come pure dalla destra chiedevano e avevano promesso. Il risultato è «la pericolosa disorganizzazione» di cui parla De Fazio: per dire, appena qualche mese fa ci fu il caso clamoroso di un detenuto che aveva contemporaneamente tre telefoni cellulari, intercettati da altrettante forze di Polizia. Un tema, quello degli smartphone nelle galere, denunciato con forza dai procuratori antimafia che non riesce incredibilmente a trovare una soluzione. Ma d’altronde le promesse non mantenute sono un marchio di fabbrica, sulle carceri: il sottosegretario Andrea Delmastro, nel mentre utilizzava per fini politici segreti istruttori raccolti nell’esercizio delle sue funzioni (questo per lo meno è quello di cui lo accusa la procura di Roma e per cui dovrà essere processato), aveva annunciato l’entrata in vigore di nuovi protocolli per la polizia penitenziaria. Peccato che a oggi nessun agente è stato formato e tutto questo esiste soltanto sulla carta.

Eppure nella propaganda governativa le carceri sono raccontate in maniera completamente diversa. Emblematica è la storia di Chico Forti, l’assassino (che però si è sempre dichiarato innocente) fatto rientrare dagli Stati Uniti. Dopo la photo opportunity con la presidente Giorgia Meloni arrivata ad accoglierlo al suo arrivo dagli States, il detenuto ha detto ai microfoni della Rai: «Tra il carcere di Miami e quello di Verona c’è una differenza enorme. Quello di Miami è basato sulla punizione ed è un luogo dove sei continuamente umiliato, mentre qui ho conosciuto valori umani come i rapporti e il rispetto, che non ritrovavo da 24 anni. Mi hanno trattato come un re». Poche ore dopo gli è stato concesso di uscire dal carcere per andare a trovare la madre. «Una possibilità che purtroppo viene negata ogni giorno a centinaia di detenuti», hanno denunciato le associazioni. Forti, il “re”, è nel carcere di Verona dove tra dicembre e febbraio ci sono stati cinque suicidi in meno di tre mesi.

 

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