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Preferiamo, come nostro costume consolidato, essere chiari: i correttivi al c.d. riordino delle carriere licenziati in via definitiva nel corso della riunione Consiglio dei Ministri del 21 u.s. non ci soddisfanno affatto!

Questo non significa che nei correttivi non ci sia nulla di buono o condivisibile, non vogliamo certo buttar via, con l’acqua sporca, anche il bambino, ma lo riteniamo non rispondente alle legittime aspettative della generalità degli operatori, soprattutto di quelli che si sono visti passare sulla testa – restandone solo penalizzati – i vari, precedenti, provvedimenti di riordino che si sono succeduti negli anni.

Soprattutto, non lo reputiamo funzionale alla crescita definitiva del Corpo di polizia penitenziaria, nell’ambito del sistema giustizia e di esecuzione penale del Paese, per quello che la collettività richiede e si aspetta.

Del resto, basti guardare alla conclusione del primo step del Tavolo paritetico di interlocuzione con l’Amministrazione, alle richieste unitarie prodotte dalle OO.SS. della PolPen, per non parlare di quelle mirabolanti presentate autonomamente da talune di esse e che ci hanno indotto a produrre la nostra nota del 21 dicembre 2018. L’attento lettore, si accorgerà che niente, o quasi, di ciò che il Sindacato si auspicava e rivendicava è contenuto nel provvedimento approvato in via definitiva.

 

Ricordiamo tutti, peraltro, che proprio nella fase propedeutica alla promulgazione del D.Lgs. 126/2018 (precedenti correttivi), gli esponenti dell’allora governo “giallo-verde” e, in particolare, il ministro dell’interno Salvini, parlarono di correttivi meramente formali e si impegnarono alla proroga dei termini per l’esercizio della delega affinché si procedesse a una sostanziale “riscrittura” del c.d. riordino delle carriere.

In effetti i termini della delega furono prorogati e quel governo – giallo-verde – ha successivamente reperito le (esigue) risorse economiche per procedervi. Correttivi, quelli di cui dibattiamo, che nascono e si sviluppano, dunque, con un governo “antagonista” rispetto a quello che aveva prodotto il testo base, da correggere, e che oggi sono stati approvati da un governo ancora diverso, un quarto governo, che si potrebbe forse definire – senza voler essere blasfemi – una sorta di ibrido tra il secondo e il terzo, ma che vede la vigorosa opposizione della forza politica cui è capo quel ministro dell’interno del governo che ha congegnato l’impianto finale. Quello stesso ministro che diceva di voler riscrivere il riordino.

Lo abbiamo dunque definito un riordino che sopravvive ai governi, in quanto dotato di vita propria, perché evidentemente congegnato dagli apparati ministeriali: per questo è un riordino che serve alla burocrazia e non alla polizia!

D’altronde, se si replicano, rafforzandole, le misure già adottate precedentemente – come nel caso di cui dibattiamo – non si può propriamente parlare di “correttivi”, ma evidentemente si aggravano gli errori e le asincronie vigenti.

Nel merito, i motivi di insoddisfazione sono molteplici e, fra i principali e comunque in maniera non affatto esaustiva, indichiamo:

  • Si è intervenuti, per legge e al difuori della contrattazione quasi come se si trattasse della dazione del monarca, sulla struttura salariale, con l’irrisorio aumento (pochissimi euro mensili) del primo assegno funzionale solo per gli appartenenti al ruolo degli Agenti e degli Assistenti;

 

  • Si è rinunciato, invece ad aumentare concretamente i limiti di reddito e, dunque, la platea dei beneficiari, per l’accesso alla defiscalizzazione. Accorgimento che, esso sì, consentirebbe di perequare il trattamento economico degli operatori del ruolo di base;
  • Contestualmente all’ampliamento dei compiti istituzionali, che andranno a contemplare, di fatto, anche funzioni prettamente amministrative, si sono introdotte norme che mirano a comprimere le libertà sindacali e il diritto di esercitare azioni sostitutive dello sciopero anche al di fuori degli istituti penitenziari, senza comprometterne la sicurezza, pure quando non si espletino funzioni di polizia (ma prettamente amministrative);
  • Le modifiche all’ordinamento disciplinare determineranno in qualche circostanza l’impossibilità del ricorso gerarchico, con una contrazione delle garanzie di difesa e di esercizio del contraddittorio in ogni fase del procedimento. Inoltre, quando il Comandante del Reparto avrà la qualifica di primo dirigente, temiamo storture e disallineamenti nel caso di infrazioni che possano dar luogo a sanzioni più gravi di quella della censura. Per fortuna, su questo tema, anche grazie all’azione condotta presso le Commissioni parlamentari, siamo riusciti a evitare che la sanzione della “censura” venisse inflitta dal Comandante del Reparto, eventualità che avrebbe di fatto vanificato il ricorso gerarchico.
  • Le previsioni in tema di assenze per malattia (comunicazioni, redazioni e invio dei certificati) aumenteranno gli oneri burocratici a carico degli operatori e, per di più, risulteranno di fatto inapplicabili, allo stato attuale, per la Polizia penitenziaria, la quale non dispone di una propria articolazione sanitaria e, a nostro parere, comporteranno costi aggiuntivi e senza copertura nel caso si optasse per convenzioni (circostanza che, peraltro, per espressa previsione della norma, potrebbe causare una riduzione delle facoltà assunzionali);
  • Si perpetua la violazione alle pari opportunità continuando a eludere l’obbligo per l’Amministrazione (di cui alla direttiva n. 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006 e nonostante il pronunciamento della corte di giustizia dell’unione europea, sentenza del 6 marzo 2014, Causa C-595/12) di organizzare sezioni di recupero per i frequentanti i corsi di formazione e che si assentino, oltre il periodo massimo consentito, per astensione obbligatoria per maternità; obbligo oggi previsto solo per gli appartenenti alla Carriera dei funzionari;
  • Si comprime il diritto di famiglia, vincolando il diritto del genitore di prole di età inferiore a tre anni a essere distaccato nella provincia o nella regione ove esercita la sua attività lavorativa l’altro genitore alle esigenze organiche e di servizio e non solo, come previsto dall’art. 42-bis, D.Lgs. 151/2001, al posto libero nella dotazione organica della sede richiesta;
  • Si ampliano i compiti istituzionali, che di per sé sarebbe senz’altro positivo se a ciò corrispondesse un proporzionale aumento degli organici in tutti in ruoli, e non può essere considerato tale quello impercettibile previsto dal testo approvato;
  • Per quanto concerne poi la struttura del Corpo di polizia penitenziaria, si è rinunciato, ancora una volta, a procedere all’unificazione del ruolo degli Agenti e degli Assistenti con quello dei Sovrintendenti e si prevede, per quest’ultimo, con un mero esercizio lessicale che sembra quasi configurare un ossimoro, che coloro che vi appartengono possano espletare mansioni esecutive “anche qualificate e complesse”, impedendo di contro agli Assistenti Capo e ai Sovrintendenti un concreto e agile sviluppo di carriera;
  • Si sono introdotte farraginose procedure transitorie per i concorsi per Vice Sovrintendente, con posizioni sovrannumerarie e senza la salvaguardia del mantenimento della sede di servizio per gli operatori più anziani;
  • Sulla stessa scia, non si valorizza il ruolo degli Ispettori, e non si interviene per superare i blocchi che di fatto rendono a molti impossibile di conseguire la qualifica apicale, limitando, pertanto, ancora una volta, lo sviluppo di carriera;
  • Soprattutto, si continua a eludere il principale problema del Corpo di polizia penitenziaria, che è costituto dall’essere un corpo amorfo, senza testa; non superando detta acefalia la previsione di due fantomatiche direzioni generali, incapaci di incidere significativamente sull’organizzazione e sulla catena di comando della Polizia penitenziaria e che, nella migliore delle ipotesi, si potranno realizzare solo dopo – e ben oltre – l’anno 2030;
  • Si mantiene la subordinazione gerarchica del Dirigente Comandante del Reparto di Polizia penitenziaria dal Direttore dell’Istituto;
  • Infine, e come se non bastasse, si è intervenuti ancora una volta per legge e al difuori della contrattazione per incrementare, con gradualità dall’anno 2023 all’anno 2029, le risorse destinate al FESI, peraltro, in misura sproporzionata fra le diverse Forze di Polizia, con ulteriore sperequazione in danno della Polizia penitenziaria.

        La UILPA Polizia Penitenziaria, in ogni caso, non si arrende e continuerà a seguire gli sviluppi della materia e a promuovere azioni e interventi in ogni sede, ivi compresa quella di rinnovo contrattuale, al fine di favorire l’adozione di misure che se da un lato possano rimediare agli errori sinora compiuti, dall’altro possano agevolare concretamente e compiutamente lo sviluppo e il decollo del Corpo di polizia penitenziaria quale autentica Forza di Polizia del Paese.

       Speriamo, naturalmente, come spesso nostro malgrado ci accade, di non ritrovarci in compagnia di pochi!

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