Il tema penitenziario solitamente assurge alla ribalta della cronaca e all’interesse dell’opinione pubblica quando si verificano fatti eclatanti e, appunto, di grande clamore mediatico. Anche per questo quasi sempre la discussione che ne scaturisce è fortemente influenzata dagli eventi e tralascia di approfondire gli aspetti endemici delle patologie carcerarie, che hanno origini remote e radici profonde.
La crisi del sistema, d’altronde, emerge clamorosamente e in maniera plastica dalla mera consultazione, prim’ancora che dall’analisi, dei dati più significativi che fotografano in maniera impietosa lo stato delle prigioni.
Del resto, basti pensare che lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) per lungo tempo ha secretato, fra gli altri, anche il numero delle aggressioni perpetrate dai detenuti ai danni di appartenenti alla Polizia penitenziaria per motivi di ordine e sicurezza pubblici, arrivando a sostenere che la loro conoscibilità, sfuggendo all’esclusivo controllo dipartimentale e per le gravissime criticità che se ne potrebbero evincere, potrebbero favorire situazioni di disordine collettivo all’interno delle carceri.
Sì, perché soffermandoci all’esame delle sole aggressioni fisiche più gravi, se ne conteggiano quasi 2.500 nei primi otto mesi dell’anno (sono state 1.187 dal 1° gennaio al 30 aprile).
Ma al di là di questo e pur pesantissimo aspetto che si inserisce a pieno titolo anche nelle iniziative della UIL per prevenire gli infortuni sul lavoro, vi sono altri numeri di assoluto allarme.
Numeri allarmanti
Partendo dal sovraffollamento detentivo, sono 61.800 i detenuti presenti a fronte di 46.898 posti effettivamente disponibili con carceri o parti di esse in cui il surplus supera il 200%.
A questo fa da contraltare una voragine organica nel Corpo di polizia penitenziaria, cui mancano oltre 18.000 unità rispetto al fabbisogno quantificato dallo stesso DAP (7.000 rispetto alle piante organiche ufficiali, tuttavia ampiamente sottodimensionate). Sono infatti circa 36.000 le poliziotte e i poliziotti penitenziari in servizio (meno di 25.000 quelli nelle carceri), quando ne sarebbero necessari almeno 54.000.
Da considerare, per di più, che la stima del fabbisogno era stata effettuata per 50.000 detenuti e non per i 61.800 attuali.
A tutto ciò si uniscono fortissime carenze organizzative, deficienze strutturali e infrastrutturali, scarsità di equipaggiamenti, mancanza di strumentazioni, disfunzionalità nell’assistenza sanitaria e psichiatrica, formazione e aggiornamento professionale carenti e approssimativi e molto altro ancora.
Capitolo a parte quello dei reclusi malati di mente, che il più delle volte non vengono curati e restano di fatto abbandonati a sé stessi con alcuni che, quasi ci trovassimo in un romanzo kafkiano, vengono trattenuti in carcere senza che vi sia un titolo giuridico che lo preveda, ma in attesa (per niente breve) di essere trasferiti in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza a causa di un quadro normativo già censurato dalla Corte costituzionale.
Tutto questo ci porta a sostenere, senza tema di smentita, che allo stato attuale nelle carceri vi sia un’illegalità diffusa e che esse non possono neppure ambire alle funzioni loro assegnate dalle leggi e, prim’ancora, dalla Carta costituzionale. In altri termini, pensiamo che a queste condizioni non vi siano i presupposti giuridici per il loro mantenimento. Non rieducano, non interrompono i contatti con l’esterno, non impediscono la reiterazione e la perpetrazione di nuovi reati (l’attuale procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, audito dalla Commissione parlamentare antimafia nell’ottobre del 2019 dichiarò che le carceri “sono fuori controllo, vi dominano le organizzazioni mafiose, i cellulari vi entrano quotidianamente e non li sequestriamo neanche più talmente tanti sono”), in certi casi, non rispondono neppure alla mera richiesta retributiva.
Anche da qui la piaga dei suicidi, sono stati (fino al momento in cui scriviamo) 70 i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno e 7 gli appartenenti alla Polizia penitenziaria.
Le nostre prigioni tolgono speranza
Evidentemente, le nostre prigioni tolgono ogni speranza e spesso, nostro malgrado, non solo ai detenuti, ma persino agli agenti. Anche su questi ultimi, difatti, si riversano inevitabilmente tutte le deficienze del sistema, tanto che si trovano a dover scontare le pene dell’inferno per la sola colpa di essere al servizio dello Stato con turni di lavoro di 12, 16, 18 e talvolta addirittura 24 ore ininterrotte, mancata fruizione di riposi settimanali e ferie e con la compressione dei più elementari diritti anche di carattere costituzionale.
Pressoché quotidianamente si registrano invece disordini più o meno gravi fino alle rivolte e, in qualche caso, ai sequestri di persona a opera di detenuti e non rare sono le evasioni (5 mentre scriviamo).
Tornando dunque al dettato costituzionale, non solo le carceri non assolvono alla loro funzione, ma finiscono per essere scuola del crimine e teatro di piazze di spaccio di oggetti e sostanze non consentite (lo spaccio di stupefacenti in carcere frutta il triplo rispetto all’esterno), violenze di ogni genere, stupri, suicidi, omicidi e altro ancora.
Analoga la situazione, facendo le debite proporzioni, nel circuito che riguarda i “minorenni”, al quale in verità vengono destinati ristretti fino al compimento del 25esimo anno d’età. Un paradosso se si pensa che si possono trovare 18enni negli adulti, a condividere la cella con 40, 50, 60enni, e 25enni insieme a 14enni nei minori. Venerdì scorso (6 settembre) proprio un 18enne è rimasto vittima, arso vivo, dell’incendio da egli stesso appiccato, unitamente a un altro detenuto, nella sua cella del carcere milanese di San Vittore (per adulti).
Le misure messe in atto dal Governo sono insufficienti
Del resto, la maggioranza di Governo, che ha sì ereditato una situazione pesantissima, al di là degli slogan e dei proclami, davvero poco o nulla sta facendo per risollevarne le sorti.
Il decreto carceri, convertito in legge n. 112/2024, non risponde minimamente all’emergenza senza precedenti in atto e, anzi, contiene previsioni foriere di peggioramenti rispetto allo status quo ante, come ad esempio la riduzione del corso di formazione iniziale per gli agenti del Corpo di polizia penitenziaria a soli 60 giorni effettivi, ma persino lo stesso dettato sulla liberazione anticipata.
Servono invece misure tangibili e ad effetto immediato che possano deflazionare la densità detentiva, potenziare gli organici della Polizia penitenziaria e delle altre figure professionali e garantire l’assistenza sanitaria e psichiatrica, con l’adeguata gestione dei ristretti tossicodipendenti e di quelli affetti da patologie psichiatriche.
Parallelamente, vanno avviate riforme complessive dell’intero apparato d’esecuzione penale con anche la reingegnerizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il ripensamento del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità e la riorganizzazione del Corpo di polizia penitenziaria.
Inoltre, va messo in campo un piano organico di rifacimento delle strutture in gran parte fatiscenti, architettonicamente inadeguate, insalubri e insicure.