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Nota n. 9810 - In occasione della celebrazione della Giornata internazionale dei diritti della donna, ci si rivolge alle SS.LL. per porre l’accento sulle discriminazioni di genere che affliggono le donne del Corpo di polizia penitenziaria, originate da prassi gestionali e operative che appaiono difformi anche rispetto alla ratio della fonte legislativa su cui dichiaratamente si fondano.   Partendo dal dettato del 2° comma, art. 6, legge n. 395/1990 (“Il personale del Corpo di polizia penitenziaria da adibire a servizi di istituto all'interno delle sezioni deve essere dello stesso sesso dei detenuti o internati ivi ristretti”), si perviene infatti a una quantificazione delle dotazioni organiche della Polizia penitenziaria parametrata pressoché esclusivamente sui posti detentivi, tanto per le donne tanto per gli uomini (con esclusione dei soli appartenenti alla Carriera dei funzionari). Come diretta conseguenza di ciò, il genere femminile nel Corpo di polizia penitenziaria si riduce a essere circa il 10% di quello maschile, con una sproporzione tale da non sembrare coerente non solo con i principi costituzionali, ma finanche con il dettato della previsione legislativa alla quale la dotazione organica dovrebbe essere funzionale.  Quanto sopra, difatti, non pare essere giustificato da alcuna fonte primaria, considerato che l’unico vincolo di genere previsto è quello che vige per gli appartenenti alla Polizia penitenziaria da adibire a servizi di istituto all'interno delle sezioni, che rappresentano solo una parte – seppur importante – dei compiti istituzionali del Corpo, specie dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 123/2018 e dal D.Lgs. n. 172/2019 all’art. 5 della L. n. 395/1995.  Tutto ciò ha l’effetto di produrre pesantissime penalizzazioni per le donne della Polizia penitenziaria che, non potendo godere delle stesse opportunità degli uomini nell’impiego in attività diverse da quelle all’interno delle sezioni detentive o a esse strettamente connesse, subiscono anche gravi e ingiustificate limitazioni nello sviluppo professionale e della carriera.  In questa ricorrenza simbolica, nella profonda convinzione che le declamazioni di principio abbiano un senso solo se utili alla creazione di prospettive di superamento delle persistenti disparità di genere, si vuole fare appello alla riconosciuta sensibilità delle SS.LL. affinché, pure nell’ambito delle procedure propedeutiche alla revisione delle dotazioni organiche del Corpo di polizia penitenziaria, già in essere al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e al Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, vi sia un approccio nuovo e sistematico al quadro normativo che consenta di ridurre il grave disequilibrio sopra accennato.  Del resto, proprio in aderenza al richiamato 2° comma, art. 6, legge n. 395/1990, basterebbe quantificare il reale fabbisogno organico per assicurare il servizio all’interno delle sezioni detentive  femminili e maschili, considerando pure una maggiorazione percentuale tale da poter far fronte a ogni esigenza ulteriore, e conseguentemente riservare solo al dato così ricavato la differenziazione di genere nei concorsi per l’accesso e la progressione di carriera nel Corpo, lasciando i restanti posti vacanti (numericamente intesi) all’indistinta disponibilità di uomini e donne. Peraltro, un sistema di esecuzione penale nel quale donne e uomini potessero offrire il proprio patrimonio di competenza e individualità in rapporto numerico tendenzialmente omogeneo a quello comunemente riscontrabile nella società, favorirebbe un’indubbia maggiore adesione anche al dettato dell’art. 27 della Carta, con precipuo riferimento alla finalità della pena. L’occasione è particolarmente gradita per porgere cordiali saluti.

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