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Scarica qui il comunicato - ROMA, 07 ottobre 2019.Ammontano a otre 3 milioni di euro in 32 mesi le spese che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha dovuto sostenere per la soccombenza in giudizio per azioni promosse dal personale dipendente – in massima parte appartenente al Corpo di polizia penitenziaria – cui troppo spesso vengono negati o fortemente compressi i diritti sanciti dalla legge”.

Ne dà notizia Gennarino De Fazio, per la UILPA Polizia Penitenziaria nazionale. De Fazio spiega: “da sempre sosteniamo che i vertici del DAP interpretino troppo spesso in maniera restrittiva e illegittima le norme che regolano molti degli istituti in favore del personale dipendente; ci riferiamo, per esempio, ad alcune previsioni in materia di tutela della maternità e della paternità o di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate o, ancora, a talune disposizioni che incidono sul trattamento economico e sulle indennità. Così gli operatori, per lo meno quelli che si possono permettere di sostenerne gli ingenti costi, sono costretti a rivolgersi al TAR competente e poi, non di rado, al Consiglio di Stato per ottenere giustizia”.

La cosa più grave – argomenta ancora il leader della UILPA Polizia Penitenziaria – è che, nonostante il personale vinca ripetutamente in giudizio, il DAP non si adegua alla giurisprudenza formatasi e continua a disporre in maniera restrittiva. Tutto questo, come da noi accertato, ha prodotto spese per soccombenza in giudizio per azioni promosse dal personale dipendente per ben 1.060.854,77 euro nell’anno 2017, 1.326.752,35 euro nell’anno 2018 e 733.753,29 euro dal 1° gennaio al 10 settembre 2019.

In altri termini, – stigmatizza ancora De Fazio – di fronte a diritti negati, solo chi ha soldi, tempo e voglia per affrontare lunghi processi riesce a ottenere giustizia e, quando la consegue, l’erario paga le spese dovute a errori dirigenziali e tutto ciò si ripercuote su ogni cittadino, ivi compreso su colui al quale quei diritti continuano a essere confutati e che si vede di conseguenza danneggiato e beffato.

Esortiamo pertanto il ministro Bonafede a verificare compiutamente quanto da noi acclarato e a scoprire se vi siano in tutto questo responsabilità dirigenziali; ma principalmente – conclude il sindacalista – auspichiamo che il Guardasigilli intervenga affinché le sentenze abbiano un senso per orientare le decisioni su casi analoghi.

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