Anche Papa Francesco nell’udienza di ieri ha pregato per chi lavora in carcere e per i detenuti: “non devono essere luoghi di violenza ma di reinserimento e rieducazione”.
Roma, 5 gennaio 2017 - “I reati in carcere sono triplicati e le aggressioni nei confronti della Polizia Penitenziaria sono quasi raddoppiate: la situazione è al collasso, servono interventi urgenti”. Non usa mezzi termini Angelo Urso, segretario generale della Uil Pa Polizia Penitenziaria che lancia un grido d’allarme. Un grido che ha già lanciato invano nelle sedi opportune, interessando anche il Ministero del Lavoro per quanto attiene all’applicazione del D. Lgs 81/2008. I numeri parlano chiaro: le aggressioni sono passate dalle 344 registrate nel 2013 alle attuali 525; i reati commessi in carcere da 983 a 2.458; gli atti vandalici sono ora 1904 rispetto ai 663 di quattro anni fa mentre le risse tra detenute sono lievitate da 38 a 51. Cifre importanti e preoccupanti che confermano una escalation alla quale occorre porre un freno. Un freno per ripristinare la legalità all’interno degli istituti penitenziari ma, anche e soprattutto, per salvaguardare l’incolumità fisica e garantire l’applicazione delle norme in materia di “salute e sicurezza” a coloro che, con il loro lavoro, rappresentano lo Stato all’interno delle carceri. “Rispetto a quanto avviene in carcere, durante il loro servizio, gli appartenenti al corpo di Polizia penitenziaria possono essere coinvolti in qualità di spettatori, soccorritori o involontari protagonisti delle violenze dei detenuti – spiega Urso - Questo dà la dimensione di quale può essere l’impatto emotivo di questi fenomeni sui poliziotti e di come può essere messa a dura prova la loro capacità di adattamento ad un contesto in cui gli eventi critici diventano una routine. Questi eventi, infatti, possono avere un effetto traumatico sia per colui che è rimasto vittima dell’infortunio/incidente, sia per coloro che hanno assistito direttamente all’evento o hanno prestato soccorso”.
In sostanza la Uil lamenta, oltre ad una inadeguata assistenza sanitaria agli agenti vittime, loro malgrado, di vicende del genere, anche l’assenza di un documento che metta nero su bianco i “rischi del mestiere”, la diffusione di provvedimenti che dispongano le procedure d’intervento da adottare nelle situazioni di rischio e l’emanazione di ordini di servizio rispondenti alle mansioni pretese, soprattutto dopo l’entrata in vigore della sorveglianza dinamica e l’apertura delle celle
“Se davvero si vuole arrivare a creare un ambiente di lavoro sicuro per gli agenti occorre fare un cambio di passo. Da un lato occorre responsabilizzare le persone detenute e, dall’altro, bisogna emancipare il lavoro della polizia penitenziaria dalla mera custodia alla conoscenza dell’utenza, creando una vera e propria “intelligence” e polizia di prossimità. Per questo, però, servono meno burocrazia e più interventi concreti che vanno dall’ampliamento degli organici ad un’azione di controllo e di intervento da parte dei vertici dell’Amministrazione e degli organi di vigilanza rispetto ai provvedimenti che possono restare sulla carta. - conclude Urso - Le condotte regolari devono essere pretese anche in carcere e l’attuale quadro normativo dovrebbe subire un evoluzione inasprendo le sanzioni specialmente quando i reati sono commessi contro chi, in quel momento, rappresenta lo Stato”.
Anche Papa Francesco nella sua udienza del 4 gennaio, facendo riferimento al massacro avvenuto nel carcere brasiliano di Manaus, ha espresso solidarietà ai poliziotti e precisato: “le carceri non devono essere luoghi di violenza, non devono essere sovraffollati ma posti di reinserimento erieducazione”
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