E’ di queste ore la triste notizia dell’ennesimo suicidio che ha visto protagonista un appartenente il Corpo di polizia penitenziaria. Ieri un collega in servizio a Massa Carrara si è suicidato con l’arma di ordinanza – dichiara Angelo Urso segretario generale UIL PA Polizia Penitenziaria – e oggi un altro ancora in servizio a Napoli Poggioreale si è tolto la vita.
“Due in due giorni sono veramente troppi e se anche ricondurre eventi del genere a situazioni di servizio non sarebbe giusto né corretto – aggiunge Urso - una seria riflessione, su quelli che sono gli effetti e le conseguenze del lavoro in carcere sulla vita privata di ognuno, credo sia un dovere del Governo e dell’Amministrazione”.
“Sono dell’idea che anche il Ministro della Giustizia, persona sensibile e attenta ai diritti delle persone, debba sentire la necessità di dare i necessari input ad un Capo del Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria attualmente aggrovigliato nella lentezza della burocrazia”. Occorre dare una svolta a questo lavoro ed è necessario farlo con coraggio e con una certa urgenza perché il rischio è quello che l’attuale senso di frustrazione dei baschi azzurri si trasformi in preoccupante rassegnazione. Sono tante troppe le cose che non vanno in questa Amministrazione: una gestione iniqua del personale; risposte evasive, elusive, inefficaci e inefficienti; assenza di coerenza e logicità; disposizioni di servizio incomprensibili e inattuali.
“Non è mai bello fare confronti con altre categorie di lavoratori, lo è ancor di meno farlo con chi è in carcere – aggiunge il sindacalista- ma oggi è inevitabile. Se uno è garantista lo è sempre e con chiunque, se è rispettoso delle regole idem, se è solerte e attento ai bisogni personali deve esserlo con ognuno. Non può essere il contrario di se stesso con chi ospita e con chi gestisce”.
Per lavorare in un carcere ci vuole equilibrio perché quello del Poliziotto penitenziario è un lavoro difficile svolto all’interno di ambienti altrettanto complicati dove, chiunque, avrebbe
timore di lavorare.
“Bisogna avere una capacità di adattamento superiore alla media – afferma Angelo Urso- perché il poliziotto penitenziario mentre rappresenta l’autorità e lo Stato al cospetto dei detenuti, di Essi raccoglie la rabbia, le ansie, le paure, le preoccupazioni, gli sfoghi di ciascuno e ogni volta, da solo in mezzo a 60/70 detenuti, deve sapersi adattare ad un interlocutore che può essere di
nazionalità, etnia, cultura e religione diversa”. “Provate solo ad immaginare le conseguenze che questo può avere sulla condizione psico-fisica di un
agente – conclude Urso - abbandonato a se stesso e allora sì che si potrà anche comprendere che l’attenzione al benessere lavorativo e all’organizzazione del lavoro non è un capriccio sindacale
ma un dovere di chi ci amministra. Una cosa è andare a lavorare in carcere con la mente serena e il fisico sano altra è andarci con uno stato di malessere e di insoddisfazione riconducibile ad una organizzazione gerarchica, eccessivamente burocratica, con strumenti di lavoro inadeguati, mansioni e attribuzioni di responsabilità non previste, disposizioni di servizio incoerenti