Il neo Garante dei detenuti Riccardo Turrini Vita che ascolta la Messa in latino e ha scritto sentenze per il Vaticano.
Tra gli sponsor Mantovano, Nordio e la Lega. Il Pd lo vuole subito in Parlamento. Antigone: “Confusione di ruoli tra controllati e controllori”
ROMA - Di sicuro “parleranno in latino”, Carlo Nordio e il neo Garante dei detenuti Riccardo Turrini Vita. Che il Guardasigilli ha scelto proprio a sua immagine e somiglianza e ne ha portato la nomina a palazzo Chigi. La stessa passione per le toghe di Magistratura indipendente, la corrente di destra della magistratura. E poi per i libri e le elaborazioni teoriche, più che per l’attività concreta. Di certo quella che oggi sarebbe necessaria per il disastro delle galere, 72 suicidi e sette agenti che hanno fatto la stessa fine. Lui invece, Riccardo Turrini Vita, passa per uno studioso, di matrice strettamente cattolica, e per un uomo di scrivania.
Uno sgobbone negli studi. Classe 1961. Si laurea in giurisprudenza nel 1985 con 110 e lode, e l’anno seguente ecco un perfezionamento in diritto romano. Non basta, sette anni dopo arriva pure un dottorato in diritto canonico presso il pontificio Istituto utriusque iuris all’università lateranense. E con il Vaticano è rimasto sempre in ottimi rapporti, tant’è che per anni è stato magistrato della loro Corte d’Appello dove scriveva le sentenze. Che sia cattolico lo dicono anche le sue onorificenze, cavaliere di Gran Croce iure sanguini del Sacro ordine militare Costantiniano di San Giorgio, nonché commendatore dell’Ordine pontificio di San Gregorio Magno.
Cattolico al punto da ascoltare la messa in latino secondo un rito ormai superato. Vince il concorso e diventa magistrato, tra il 1989 e il 1992 è giudice al tribunale di Pordenone, l’anno dopo arriva in quello di Roma. Ma la permanenza è breve. Due anni dopo eccolo già in via Arenula, dove resta per otto anni. Poi sceglie il Dap e “svolta”, lascia dalla magistratura per imboccare una nuova carriera nell’universo delle patrie galere. Non in periferia e nei penitenziari, ma al vertice, in Largo Luigi Daga. Prima direttore dell’esecuzione penale esterna, poi del personale e della formazione, fino a diventare vice capo del Dap e reggerne le sorti per un breve periodo – giusto quando l’Italia è funestata dal Covid e in via Arenula siede Alfonso Bonafede – nel passaggio tra l’ex direttore Francesco Basentini e il suo successore Dino Petralia.
Certo è che si tratta di un uomo all’antica, vestito sempre con la giacca rigorosamente abbottonata, di stile ottocentesco, abiti fatti dal sarto visto che è alto due metri. Negli ambienti politici definiscono la sua nomina di stampo “fascio-leghista”. E proprio dal sottosegretario alla Giustizia del Carroccio Andrea Ostellari arriva il benestare perché la sua nomina sarebbe “un’ottima notizia per il Paese”. Parlano bene di lui ovviamente Nordio, “persona di elevata cultura, grande esperienza, particolare sensibilità per il mondo carcerario” e poi il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, un super cattolico pure lui, che lo descrive come “una persona di elevata cultura, grande esperienza e particolare sensibilità per il mondo carcerario”.
Uno studioso certo. E forse giusto questo potrebbe essere il suo handicap come cominciano subito a far notare i veri esperti del mondo carcerario. Che storcono il naso perché già vedono l’inevitabile confusione di ruoli tra chi è stato al vertice delle carceri, magari non ne ha visti i difetti, e invece adesso, finito dall’altra parte, quella dei detenuti, dovrebbe partire con le critiche. Come dice chi il carcere lo conosce bene “qui siamo al massimo dell’inopportunità”. E ancora ecco la considerazione di Giovanni Ciccio Zaccaro, il segretario di Area, la corrente di sinistra delle toghe: “Dai ranghi dell’amministrazione penitenziaria al ruolo di controllore di come vengono trattati i detenuti… Un paradosso per Nordio che da bravo liberale dovrebbe sapere che i controllori devono essere diversi dai controllati”. Dice lo stesso il presidente di Antigone Patrizio Gonnella che vede proprio “una confusione di ruoli tra controllati e controllori”. Perplessità anche nel Pd che con la responsabile Giustizia Debora Serracchiani, Federico Gianassi, Alfredo Bazoli e Waletr Verini ne chiede subito l’audizione in Parlamento perché “desta perplessità che si tratti di un alto dirigente dello Stato e del ministero della Giustizia, mentre la caratteristica fondamentale di un Garante dev’essere quella di una netta indipendenza dalla struttura di controllo, senza ambiguità e confusione di ruoli”.
E infatti su di lui già piovono le perplessità. A partire da una battuta, “Turrini Vita? Di certo può duellare con Nordio a suon di locuzioni latine…” che fa Gennarino De Fazio, il segretario generale della Uilpa che proprio oggi ha definito come una “baraccopoli” l’ottava sezione di Regina Coeli, per via di ”115 detenuti e quattro piani senza corrente elettrica, con cavi volanti per illuminare le scale, alcuni ambienti letteralmente carbonizzati, inferiate dei ballatoi di veti, intonaci cadenti, acre odore di bruciato e molto altro”. Per De Fazio il neo Garante è certo “una persona educata, ma non operativa”; e ancora “un buon teorico, ma poco pratico”. Insomma, “uno da cui ci si possono aspettare grandi report, ma non un intervento sul campo”. Ahinoi, giusto quello che serve in questo momento nelle carceri italiane.
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