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La Repubblica - Venti giorni senza Garante dei detenuti. E via Arenula pensa alla norma Costa che serve ai colletti bianchi.

Per ridurre il numero dei reclusi verrebbero esclusi, dalle regole della custodia cautelare, i casi di chi può commettere lo stesso reato. Che certo non vale per scippatori e ladri seriali. Questa è Toghe, la newsletter sulla giustizia di Liana Milella.

Settanta suicidi in cella. Evasioni e rivolte. Dall’inizio dell’anno. Un record. A partire dall’ultimo caso al Beccaria di Milano l’8 settembre. A Cassino era successo il 3; a Regina Coeli a Roma e ad Ancona il 30 agosto; al Marassi di Genova e a Reggio Calabria il 23; sempre a Regina Coeli il 18; gravissimi incidenti a Bari il 17; a Catanzaro il 10; al minorile di Torino giusto il primo di agosto; il 30 luglio ad Alessandria e a Cuneo; a Biella il 28; tensioni sempre il 28 a Regina Coeli e Velletri; il 26 le proteste a Rieti con 400 detenuti in autogestione; il 24 disordini a Venezia; il 22 un detenuto tenta l’evasione all’Aquila; il 21 tre minori evadono dal minorile di Casal del Marmo; il 19 un detenuto ne uccide un altro a Salerno; il 12 ecco le proteste a Trieste; il 10 disordini gravi a Viterbo; il 7 un recluso evade dall’ospedale Cardarelli di Napoli (ma viene ripreso); il 5 un’altra evasione a Trapani; il 4 fortissima protesta a Sollicciano. Giorno dopo giorno ne dà notizia il segretario della Uilpa Gennarino De Fazio, e il suo è un tragico bollettino di guerra che documenta l’incapacità del governo, ma anche la sua cinica indifferenza. All’inizio di luglio De Fazio ironizza sulla rivolta di Sollicciano, a secco di acqua, giusto “all’indomani del varo del decreto ‘carcere sicuro’ in consiglio dei ministri”.

Alle contestazioni, in questi due mesi, si alternano i suicidi oppure le morti a seguito di un atto di ribellione, come quello del diciottenne egiziano che muore carbonizzato il 6 settembre a San Vittore perché aveva dato fuoco al materasso. Il 5 settembre il suicidio numero 69, un detenuto si impicca a Imperia. Il 2 un uomo di 62 anni si toglie la vita a Benevento. Il 30 agosto, 54 anni, suicida a Reggio Emilia. Il 7 si impicca un tunisino a Prato. Il giorno prima un albanese di 55 anni muore nello stesso modo a Biella. Il 5 agosto a 48 anni probabile suicidio nel tribunale di Salerno. Il 2 si uccide un poliziotto penitenziario all’Ucciardone. È il settimo nel 2024. Il 30 luglio un suicidio a Rieti. Il 28 un italiano di 27 anni si impicca a Prato. Il 26 suicidio a Rebibbia. Il 21, nel carcere di Bologna, 48 anni, si uccide un detenuto di origine albanese. Il 15 luglio, 37 anni, suicidio a Venezia. Il 13 nuovo suicidio a Monza. Il 12 un detenuto muore a Verona. L’8 luglio un ottantunenne, arrestato una settimana prima, si uccide nel carcere di Potenza. Il 7 luglio, 36 anni, il sesto agente della penitenziaria si toglie la vita. Il 4 luglio, a 44 anni, muore un detenuto a Livorno. E nello stesso giorno, a Pavia, si impicca un egiziano di vent’anni. A Paola, il primo luglio, a 21 anni un altro compie lo stesso gesto nella doccia.

È la fotografia della catastrofica estate 2024 sul fronte delle carceri. L’estate del Guardasigilli Carlo Nordio e dei suoi tre sottosegretari, Sisto, Ostellari, Delmastro. Interrotta dal decreto “carceri sicure” d’inizio luglio convertito in tutta fretta un mese dopo solo perché, in sua assenza, Mattarella non avrebbe firmato la legge che cancella l’abuso d’ufficio approvata a ruota. Nel decreto carceri, imposto dal Colle, c’è la “pezza” del peculato per distrazione.

 

Un’estate segnata anche dalla morte il 22 luglio, a seguito di un infarto mentre era in vacanza a Locri con la sua famiglia, del Garante dei detenuti Felice Maurizio d’Ettore in carica da gennaio. Una settimana dopo Repubblica scopre che il fratello Pasquale, detenuto per una condanna a cinque anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, non ha ottenuto il permesso per partecipare ai funerali del fratello.

Inevitabile chiedersi perché non fosse di pubblico dominio lo stato detentivo di Pasquale D’Ettore. Il Garante Maurizio D’Ettore aveva informato il governo? Com’è possibile che una simile notizia, dopo l’inchiesta “Leone” del pool antimafia di Reggio Calabria, non fosse nota e non fosse trapelata? Eppure, giornalisticamente, sarebbe stata assai fruibile. Era nota al Guardasigilli, che ne aveva proposto il nome a Mattarella, la situazione giudiziaria di questo stretto congiunto? Non ne sarebbero stati neppure al corrente, a quanto affermano, gli altri due componenti dell’ufficio del Garante, il civilista palermitano Mario Serio, indicato da M5S, e l’avvocata romana Irma Conti, portata dalla Lega, mentre D’Ettore era sostenuto da Fratelli d’Italia cui aveva aderito dopo un passato parlamentare con Forza Italia e poi con Coraggio Italia. Maurizio D’Ettore non c’è più, la famiglia ha diritto alla sua privacy, ma chi lo ha scelto ha invece l’obbligo di chiarire i fatti.

Nel frattempo, non risulta che ci sia stato alcun passo politico per indicare un nuovo Garante di cui invece c’è un estremo bisogno. Non basta visitare tre o quattro carceri in un solo giorno - e chissà poi come questo sia possibile e che effettivi controlli assicuri - ma serve una presenza costante laddove continuano a verificarsi agitazioni, rivolte, fughe e suicidi. Come ha detto e scritto l’ex Garante Mauro Palma non solo il caso D’Ettore va chiarito per non creare “ombre” sull’ufficio stesso, ma proprio in una situazione di grande instabilità esso va mantenuto al massimo livello perché rappresenta l’unica garanzia di controllo sullo stato delle prigioni. Lo è stata per più di sette anni con Palma, mentre con l’attuale governo la sua immagine si è appannata.

Siamo a oggi. E c’è un’altra notizia. Pure il governo s’è accorto che il suo decreto non è neppure un pannicello caldo. Ma inquieta leggere che il sottosegretario Andrea Ostellari si faccia latore di una presunta soluzione contro il sovraffollamento. Ne parla in un’intervista alla Stampa dove testualmente propone: “Limitare l’applicazione della misura cautelare in cella per i casi più lievi in cui c’è il pericolo di reiterazione del reato. Ovviamente questo deve essere fatto con la massima attenzione. Bisogna escludere dalla nuova normativa i reati più gravi e pensare a misure diverse. Come gli arresti domiciliari”. Sarebbe questa la strada, per lui e per il ministro Nordio, “per diminuire i casi di carcerazione preventiva”.

Ostellari non lo dice, ma questa è l’ultima creatura di Enrico Costa, che l’attuale responsabile Giustizia di Azione ha presentato ad agosto proprio nel decreto carceri “sicure”, con un ordine del giorno ovviamente approvato dal governo. Con il quale, parlando ancora una volta di presunzione d’innocenza, si smonta la possibilità di arrestare una persona se è lieve il pericolo che commetta di nuovo lo stesso reato. Scrive Costa: “Un sospetto basato su un sospetto: sospetto di reiterazione del reato nei confronti di chi è solo sospettato di aver commesso quel reato, ma non è stato ancora dichiarato colpevole, anzi è presunto innocente, né lo è stato in passato”. Una norma che l’opposizione ha già battezzato “norma Toti” e che certo non aiuterà a star fuori dalle galere scippatori, ladruncoli e spacciatori per i quali è fin troppo facile ipotizzare proprio la ripetizione dello stesso reato. E sono quelli che affollano le prigioni, non certo i Toti. Una norma su cui il governo è balzato sopra per proteggere i “presunti” colletti bianchi. Che, lo dimostrano le statistiche, certo non riempiono le patrie galere. E sarebbe questa – ma pensate un po’ – la via d’uscita dalla tragedia dei suicidi, delle rivolte, delle evasioni.

 

 

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