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Teste di cuoio Il governo ha istituto un nuovo corpo, il Gruppo operativo speciale (Gio) per sedare le rivolte nelle carceri. Il problema, ci spiega il segretario del sindacato Uil degli agenti penitenziari, Gennarino De Fazio, è che il sistema delle carceri attualmente «è illegale». E che prima di pensare alla repressione, servirebbe ridurre il numero dei detenuti e aumentare quello degli agenti.

Ne hanno parlato in pochissimi (lo ha scritto in un colonnino il manifesto), ma pochi giorni fa, il 14 maggio, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, con un decreto ministeriale, ha istituito un nuovo corpo composto da agenti di polizia penitenziaria: si chiama Gruppo operativo speciale (Gio). A che serve? A intervenire in caso di rivolte in carcere. Voi direte, le rivolte ci sono sempre state. Sì, ma non c’era il reato di rivolta, introdotto lo scorso novembre dal governo. Punisce con pene da 2 a 8 anni chi si rivolta con uso di violenza o di minaccia, ma anche chi fa resistenza passiva. Voi ribatterete: ma se prima le rivolte c’erano, e in effetti c’erano, e non esisteva il reato, quelle rivolte non era punite? Sì, erano punite eccome: con fattispecie come «radunata sediziosa», violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. E allora perché intervenire così? Perché per questo governo la narrazione è importante. E come si è inventato il reato di rave, così si è voluto chiarire che le rivolte non saranno più tollerate, anche in forma di resistenza passiva, e che saranno severamente punite con un reato nuovo di zecca. E prima di essere punite, saranno sedate da corpi specializzati. I Gio, appunto.

Visti i diversi e documentati casi di violenza da parte di squadrette di agenti – dalle rivolte sanguinose e dimenticate di Modena durante il Covid, alle torture di Santa Maria Capua a Vetere, ai pestaggi al carcere minorile Beccaria – c’è da preoccuparsi per questo nuovo Gio? In teoria, no. Ben venga un corpo specializzato, ben addestrato, che sappia come riportare l’ordine, possibilmente senza eccessi di reazione e senza improvvisazioni pericolose. In pratica, è da vedere all’opera. Per fare chiarezza, abbiamo scambiato due chiacchiere con chi questi temi li conosce bene. Perché è spesso dietro le sbarre, ma dall’altra parte. Si tratta di Gennarino De Fazio, segretario Uilpa della polizia penitenziaria.

Segretario, è soddisfatto dell’istituzione dei Gio?

«Non proprio, perché siamo in un’emergenza permanente. Dove li troverà Nordio questi agenti? Il corpo ha già una carenza di organico di 18 mila unità. Questi agenti diventeranno una sorta di palla da biliardo che schizza da una parte all’altra per fronteggiare le emergenze».

Sono state promesse nuove assunzioni.

«Certo, sono previste 2004 assunzioni quest’anno. Ma sa nello stesso anno quanti pensionamenti sono previsti? Sono 2040. Faccia i conti. Ora c’è un emendamento pendente del governo al disegno di legge sulla sicurezza che potrebbe aumentare di qualche unità le assunzioni».

Una buona notizia, no?

«No, perché questo emendamento prevede una riduzione del tempo di addestramento del personale, per consentire al governo di poter dire di avere assunto qualche persona in più. In tempi normali il corso durava due anni. Durante il Covid il periodo era stato ridotto, in via transitoria, a sei mesi. Ora, con questo emendamento si riduce ulteriormente l’addestramento a 4 mesi. Considerando 20 giorni di assenza possibili e i weekend, fanno solo 60 giorni effettivi. Questo vuol dire prendere persone a caso e buttarle nelle carceri».

Però, a parte la questione organico, la presenza di un corpo del genere è condivisibile?

«Sì, l’idea va nella direzione giusta. Anzi, ci andrebbe, se l’evento critico fosse un’eccezione. Purtroppo non è così. Le rivolte e le aggressioni contro gli agenti sono in aumento».

Per questo è stato creato il reato di rivolta.

«Sì ma non basta. Questo governo pensa solo alla repressione».

Detto dal segretario di un sindacato degli agenti fa un po’ impressione.

«L’ho già detto e lo ripeto. Oggi le carceri sono illegali. Finché non si rendono vivibili gli istituti, non si può intervenire con la repressione. Prima bisogna ripristinare la legalità. Bisogna ridurre la densità detentiva: ci sono 14 mila detenuti in più della capienza. Bisogna aumentare il personale: mancano 18 mila agenti. E bisogna intervenire sulla sanità carceraria».

Sono anche i punti sollevati anche dal capo dello Stato.

«Esatto. Nelle celle oggi ci sono malati di mente abbandonati a loro stesso, in una situazione kafkiana. Non dovrebbero stare lì. Così come non ci dovrebbero stare i tossicodipendenti».

Il reato di rivolta serve? Oppure no?

«L’abbiamo detto anche alla premier. Si deve affrontare il problema a monte, non a valle. Così si rischia di innescare un circolo vizioso, che aumenta la permanenza dei detenuti invece di deflazionare. La previsione di un reato specifico di per sé non è negativa, perché si deve porre un argine legislativo ad alcune condotte. Ma soltanto se sono un’eccezione e se sono concepite in maniera dolosa. E questo può avvenire solo se un carcere è legale. Oggi la rivolta è una reazione quasi giustificata rispetto a quello che si vive nelle carceri, che porta all’esasperazione i detenuti».

Nel frattempo le aggressioni continuano. Creare un gruppo speciale come il Gio non è rischioso?

«No, al contrario. Le carceri sono davvero un generatore di violenza. E un personale non formato e male equipaggiato, che ogni giorno subisce le vessazioni dei detenuti, può reagire in modo incontrollato. Ben venga dunque un corpo specializzato. Ma con quali agenti? A fare cosa? Il rischio è che il Gio si trasformi in Gruppo imboscati speciali».

Le rivolte ci sono perché le condizioni delle carceri sono disumane e terribili. Ma alcune volte sono enfatizzate. È successo l’altro giorno con Benevento. Si era detto del sequestro di personale e di aggressioni. E non era vero.

«È vero, non ci sono state aggressioni e sequestri. Ma se un gruppo di detenuti occupa una sezione e la demolisce, come la chiamiamo? Sfasciare tutto è rivolta oppure no? Detto questo, senza un ripristino di condizioni di legalità e di rispetto, la repressione servirà a poco».

 

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