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Protocollo Rom-Tirana Una nuova direttrice, un educatore, un funzionario e 22 agenti ma Gjader non può partire. Sul primo penitenziario extraterritoriale restano diversi dubbi giuridici
Giansandro Merli

C’è un carcere dove problemi di sovraffollamento, carenza di personale e mancanza di posti letto non esistono: si trova a Gjader, accanto al Cpr e al centro di trattenimento per richiedenti asilo. È il primo penitenziario italiano aperto all’estero, in Albania. Inaugurato a metà ottobre 2024, nell’ambito del protocollo migranti tra Roma e Tirana, non ha mai visto un detenuto. Il mese scorso, comunque, sono stati nominati una direttrice, un educatore e un amministrativo.

Teresa Mascolo è passata dal vertice della casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso a quello della struttura d’oltre Adriatico. Ha dato il cambio a Silvana Salani Sergi – già direttrice di Regina Coeli e poi dirigente al provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Lazio – che nei primi mesi aveva svolto le funzioni necessarie all’avviamento amministrativo della struttura. Per le quali serviva una figura dedicata. Altra cosa è la gestione ordinaria di un carcere vuoto. Le autorità italiane avrebbero potuto indicare una reggenza da un’altra prigione. È già successo per le piccole, questa è piccolissima: sei stanze da quattro posti. Del resto sui centri albanesi sono competenti magistratura e prefettura della capitale.

 

«QUELLO DI GJADER mi piace chiamarlo: penitenziario fantasma autoreggente. Ci sono zero detenuti e 22 unità di polizia penitenziaria. Più di quelle del carcere dell’isola di Gorgona, dove i reclusi sono 90», afferma Gennarino De Fazio. Il segretario generale di Uilpa Polizia denuncia «un oscurantismo senza precedenti: non ci forniscono notizie quando le chiediamo e cercano di dissuadere la nostra comunicazione con il personale».

Tra le ipotesi al vaglio del guardasigilli Carlo Nordio per fronteggiare il sovraffollamento carcerario, denunciato lunedì dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, c’è anche il trasferimento degli stranieri nei paesi di origine. Per due volte, al termine delle visite di dicembre 2024 e marzo 2025, il senatore di Iv Matteo Renzi ha proposto di usare i centri d’oltre Adriatico, nella loro interezza, per i circa duemila detenuti albanesi in prigione in Italia. «A fronte di uno spreco di soldi pazzesco – ribadisce al manifesto – è l’unica soluzione per evitare l’intervento della Corte dei conti».

DAVANTI AL TRIBUNALE contabile sono stati presentati diversi esposti relativi alle strutture albanesi. Un fatto che preoccupa il governo: sul progetto, anche se per altri motivi, è già andato a sbattere contro le decisioni di diversi tribunali, dal primo al terzo grado. In ogni caso dai ministeri di Giustizia e Interno negano che l’ipotesi di trasferire dei detenuti sia mai stata presa in considerazione. Almeno finora.

Nell’ambito dell’intesa con Tirana il carcere era stato pensato per i migranti accusati di eventuali reati commessi nelle altre due strutture. Reati da compiere necessariamente in concorso, perché ai sensi della Convenzione europea per i diritti umani (Cedu) è vietata la reclusione in completo isolamento. Perfino le autorità di Ankara hanno dovuto rinchiudere altre persone con il leader curdo Abdullah Ocalan, nell’isola prigione di Imrali.

 

A SOLLEVARE DUBBI giuridici sul penitenziario da 24 posti di Gjader è il professore ordinario in diritto penale dell’università di Brescia Luca Masera. «L’unico riferimento normativo si trova nella legge di ratifica del protocollo, con la definizione di “idonee strutture” per l’applicazione delle misure cautelari – afferma – È vero che per un nuovo penitenziario in Italia è sufficiente una determinazione del ministro della Giustizia, ma questa è la prima prigione aperta all’estero. Un così basso grado di precisazione del legislatore è inammissibile».

Su tutto il progetto Albania gravano intanto le decisioni della Corte di giustizia Ue. Quella sui paesi sicuri è già stata redatta ma, in maniera inusuale, dovrebbe essere pubblicata solo dopo l’estate. Al recente rinvio della Cassazione relativo alla seconda fase del protocollo, sui migranti “irregolari” già presenti in Italia, deve ancora essere assegnata la procedura. Gli ermellini hanno chiesto quella d’urgenza, la più veloce, che si risolverebbe in qualche mese. Altrimenti ci vorrà molto di più.

 

PER DECIDERE se applicarla i giudici del Lussemburgo hanno sollecitato maggiori informazioni: in particolare vogliono sapere se i due migranti da cui sono nati i ricorsi sono attualmente liberi o trattenuti (condizione che aumenterebbe l’esigenza di celerità). «Si trovano entrambi in libertà», dice l’avvocata Cristina Durigon, che difende i cittadini stranieri.

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Giovedì, 17 Ottobre 2024 08:13

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